Grande testimonianza è quella del CT, Zlatco Dalic, nominato in un primo
momento tecnico provvisorio e poi confermato come commissario tecnico alla
guida della nazionale croata dopo aver dato prova convincente delle sue doti
nelle due partite, prima con l’Ucraina e poi con la Grecia che sono valse alla
Croazia la qualifica ai mondiali.
Zlatko Dalic (il commissario tecnico) è cattolico praticante, nato a Livno, in Bosnia, il 26 ottobre 1966,
sotto il comunismo di Tito che proibiva di professare il proprio credo e tante
sono state le vittime innocenti della follia anticlericale del regime, ciò
nonostante, Dalic, a rischio della sua stessa vita, ha svolto il compito di
chierichetto nella chiesa vicino a casa.
Poi è scoppiata la guerra ed è stato
arruolato come tanti altri giovani che non hanno fatto più ritorno alle loro
famiglie. Una fede la sua, forgiata dal dolore, che rappresenta quella della gente
croata di Bosnia che secoli di persecuzioni e il tragico conflitto degli anni
novanta non solo non hanno represso ma hanno rafforzato, e che oggi lo aiuta a
guardare alla vita con profondità e umiltà, dando per primo l’esempio ai suoi
giocatori.
Durante l’intervista a Glas Koncila, settimanale ufficioso dell’Arcidiocesi di
Zagabria, Dalic ha parlato della croce che ciascuno di noi porta, in un modo o
nell’altro, dei momenti difficili che arrivano per tutti, ma l’uomo non deve
arrendersi, lasciarsi affondare, cadere. Tuttavia “solo con la fede l’uomo può
ritornare sulla strada giusta. E’ necessario portare la croce nel modo più
dignitoso possibile, portarla con forza. Tutte le situazioni, anche quelle che
sembrano senza uscita, hanno una soluzione, tuttavia è necessario
credere”.
Il CT croato ha raccontato che in passato si è perso dietro cose futili. Ora, dice,
“comprendo che l’uomo deve consacrarsi alla famiglia e non solamente
correre dietro al lavoro e ai soldi. Dio è presente quotidianamente nella
mia famiglia e nella mia vita,… e per tutto ciò che ha avuto nella mia vita
posso ringraziare la fede e il buon Dio”.
C’è un dettaglio che non è sfuggito alle telecamere, Dalic assume talvolta una
posa un pò inusuale, con la mano destra in tasca e con la mano sinistra dà
indicazioni ai suoi giocatori. E’ lui stesso a fornire una spiegazione: “Il Rosario è
sempre con me, e quando mi sento un pò agitato, metto la mano in tasca,
stringo il rosario, e tutto diventa più semplice”.
Un Rosario che ha raccontato
di aver fatto benedire a Medjugorje – dove si reca spesso a pregare, l’ultima
volta prima di partire per la Russia – che non assume di certo il valore di un
amuleto usato con superstizione, né la sua intenzione è di pregare per vincere le
partite – come alcuni malpensanti hanno sostenuto.
E’ un gesto sincero e consueto per uno che da sempre vive la fede con spontaneità e si affida al Signore in ogni momento della sua vita, anche professionale e quindi anche
durante una partita, per farsi guidare e trovare la pace interiore nei momenti di
prova, piccola o grande che sia.
E con tutto rispetto per il calcio quest’uomo è
abituato a sfide ben più grandi dei mondiali.
Con la Croazia in finale quello che
per alcuni è solo un gioco, ha assunto connotati storici e valori molto più
profondi, da quello della sofferenza che trova il suo riscatto, a quello della vita, dono incommensurabile, che non smette mai di sorprenderci e di regalarci sogni
che talvolta sembrano impossibili.
Simona Amabene